San Vito lo Capo, 5 ottobre 2024
E’ sempre bello tornare nei luoghi del cuore, anche se vilipesi e oltraggiati dall’umana ignoranza. Uno di questi luoghi è sicuramente Monte Monaco, l’ultimo pizzo carbonatico della catena dello Zingaro, che strapiomba su San Vito lo Capo con falesie imponenti, sedi di vie tracciate da scalatori per il free climbing, uno sport estremo come estreme sono le condizioni climatiche per flora e fauna di questi straordinari ambienti siciliani.
Non c’è stagione estiva che queste rade e irte montagne non vengano percorse dal fuoco, un fuoco generato dalla umana ignoranza, da un’idea di sviluppo becero e pericolosamente tollerato da chi dovrebbe invece tutelare questi luoghi magnifici.
Il risultato del degrado ambientale è visibile non appena parti dal sentiero di Cala Firriato che dalla provinciale che da San Vito lo Capo porta all’ingresso della riserva dello Zingaro. Qui sale una ex carrareccia forestale, che portava i “cavatori” fino alla vetta del Monte Monaco, oggi è una pietraia. La dilavazione continua, l’impossibilità dell’acqua di essere assorbita dalle radici delle piante, ormai ridotte a pochi esemplari di arbusti, di leccio e querce, non possono trattenere il flusso impetuoso dell’acqua che qui, quando piove forte, dilava i sentieri, scopre le pietre che rotolando dai pendii, si accumulano nella traccia, ormai divenuta impervia e insidiosa da percorrere anche da escursionisti preparati.
Salendo si può osservare la resilienza delle piante autoctone, quasi tutte pirofite, ovvero resistenti agli incendi come la Palma nana, il Lentisco, il Cardo mariano, l’Ampelodesma, l’Asfodelo, Gnidio, la Mandragora, il Crocus, l’Euforbia, la bellissima Erica, la candida e fiera Scilla marittima oltre alle aromatiche che sprigionano nell’aria profumi inebrianti e piacevoli al passaggio, facendoti dimenticare la fatica per la salita. Tutte piante facenti parte della tipica gariga delle nostre falesie prospicienti il mare.
La fauna è relegata a rettili di varia natura, alle arvicole, prede succulente per gheppi e rapaci che sono sempre a sorvolare queste impervie zone montane sede ideale per i loro nidi arroccati in crepacci inarrivabili da altre specie selvatiche. Qualche traccia di escrementi di volpe scampata agli incendi fa ben sperare nel ritorno di questi stupendi animali all’apice delle catene alimentari dei nostri ambienti naturali.
L’escursione è tosta, ma con una buona dose di fiato e di acqua si percorre tutto il tragitto in meno di 2 ore. Si attraversa un pianoro ove risiede una masseria sicuramente frequentata da allevatori. Poi un’altra erta salita ti porta finalmente alla Cava di Contorrana ove si estraeva fino al secolo scorso il prezioso Rosso di San Vito.
Da li a poco la straordinaria vetta di Monte Monaco ove la vista spazia a quasi 360 gradi ostacolata solo dalle montagne dello Zingaro. Una croce fatta di tavole lignee contiene un diario ove chiunque arrivi può esprimere le sue sensazioni scrivendo una frase o disegnando un ricordo della giornata.
La foto di gruppo è d’obbligo, la sensazione che si ha da lassù è di volare… un volo che libera la mente da ogni pensiero, un benessere fisico e mentale fa si che ci si goda appieno della magnificenza della natura che solo chi vive queste sensazioni può provare, non si possono immaginare queste sensazioni vanno vissute appieno.
Breve spuntino e quindi giù alla cava per consumare il nostro pranzo al sacco tra i blocchi di marmo lisci e dritti come una cattedrale naturale che svetta verso il cielo… distendersi in un pavimento di marmo naturale non ha prezzo…
Affrontare la discesa è anche più insidioso della salita, le ginocchia faticano e i tendini di irrigidiscono a ogni passo, per questo preferisco fare una digressione verso l’unico residuo boschetto di lecci presente sotto Cozzo Mondello, una falesia dentro la falesia, un panettone di roccia con un cuore verde sul lato nord quasi sempre ombreggiato. E’ l’unica oasi di fresco, vicino il sentiero che scende verso pietre bianche, l’altro sentiero opposto, che porta dritto a San Vito lo Capo. Anche qui una vista straordinaria che spazia da San Vito lo Capo all’altro gioiello incastonato nella costa che è Monte Cofano e la splendida Erice ! Solo il piccolo agglomerato di casette del borgo di Macari interrompe la superba asprezza di questo versante prospiciente il Golfo del Cofano.
Ritornando sul sentiero per cala Firriato, stanchi ma soddisfatti arriviamo alla partenza in un orario che ci consente di visitare anche questo scrigno di natura costiera incontaminata che è scampata agli incendi e alla aggressione antropica.
Una caletta che si raggiunge solo attraversando un boschetto prezioso e intricato ove la lecceta residua fa compagnia a frassini con un sottobosco ricco di pungitopo, lentisco, terebinto ed euforbia… insomma un ambiente che non ti aspetti a pochi metri dal mare.
Attraversando fessurazioni rocciose, antri e grotticelle, all’arrivo si apre un paesaggio costiero di indescrivibile bellezza, chiamato “lago di Venere”, e si capisce venendo qui il motivo del suo nome.
Riuscendo da questo mondo incantato si staglia alto sopra di noi tra il blu indaco del mare e il cielo azzurro la mole fiera e superba di quel Monte Monaco che rimarrà sempre una delle mie mete preferite, un angolo di pace tra le falesie più belle della costa trapanese.
Foto e testi: Giorgio De Simone