Il Demanio Forestale denominato più propriamente “Presti-Cannavera”, si estende per circa 400 ettari ed occupa la sezione mediana dell’arco carbonatico dei Monti di Palermo. Ricade per intero nel territorio comunale di Monreale-Pioppo. Dal punto di vista idrografico è compreso nel bacino montano del Fiume Jato. La quota massima si raggiunge su Pizzo Mirabella, alto 1179 metri ca. e quella minima nella zona di “Vallone della Procura”, coi suoi 500 metri s.l.m.
Le contrade “Presti” e “Cannavera”, da cui il nome del Demanio, vennero acquisite con modalità diverse a partire dagli anni ‘60. Le due aree sono molto diverse sia per esposizione che per giacitura.
La contrada “Presti” è esposta a nord-est, tranne l’area di “Zotta ri chianti” (Pianoro degli alberi), rivolta a sud-ovest, mentre la contrada “Cannavera” è esposta ad ovest-nord-ovest e giace su ripidi versanti profondamente incisi da linee compluviali tributarie del ventaglio di formazione del “Vallone della Procura”, affluente del Fiume Jato.
Il clima è tipicamente mediterraneo sub-termico umido con piovosità di circa 950 millimetri annui. Il climax potenziale è ascrivibile a quelle delle sclerofille sempreverdi miste all’acero campestre ed al carpino nero Quercion ilicis-Aceria campestris e la zona di congiunzione delle due contrade di Cannavera e Presti con specifiche associazioni fitosociologiche si ha nelle ripidissime pendici di Pizzo Mirabella (in dialetto “Pizzo Mirabeddu”, storpiatura vernacola dell’arabo “Marabut”) dove la lecceta colonizza quasi le falesie assieme ad ornelli, terebinti, perastri, etc., mentre in basso, sulle argille meno acclive, le roverelle, i frassini meridionali e gli olmi campestri dominano il paesaggio vegetale. Purtroppo, tale condizione climax si ritrova in stati relittuali, in qualche roccaforte e con esemplari arborei isolati anche nelle vallate e su alcuni versanti.
La distruzione generalizzata della vegetazione naturale risale, come per buona parte del territorio regionale, agli inizi del 1800 e si può dire che si è protratta sino al 1950. Dopo tale periodo le utilizzazioni del legno si ridussero e permasero diffuse le utilizzazioni pascolive.
Contestualmente, però, l’incendio è divenuto il fenomeno più ricorrente e quello avvenuto nell’estate del 2000, è stato il più disastroso perché oltre a distruggere tutta la “Cannavera” e dunque la posticcia di conifere e latifoglie impiantate dopo l’acquisizione al Demanio, ha percorso quasi i 2/3 dei soprassuoli artificiali di contrada “Presti”, cancellando lo strato dominante forestale di conifere e soprattutto nei versanti e sulle displuviali. Furono parzialmente risparmiati i valloni.
Dopo l’incendio la macchia eliofila e le conifere relitte, con funzione di matricine, costituiscono la nuova struttura del soprassuolo.
L’escursione parte da Giacalone e può vere due varianti, o si arriva alla Masseria La Procura, oppure si rientra da Fontana Fredda dopo essere arrivati alla Masseria Brivatura. In ambedue i casi è possibile fare una visita al vicino bosco di Lecci di Costa Lunga da un sentiero che parte da Portella Busino. Non è consigliato affrontare l’escursione in solitaria.
Aspetti storici ed etno-antropologici
Il sentiero della Cannavera racconta una storia della Sicilia poco conosciuta, quella dei mandriani e della vita agreste, dei pastori e dei coltivatori; percorrere questa strada equivale a vivere e sperimentare un turismo alternativo, alla scoperta di un volto dall’isola diverso, ma anche di luoghi insoliti rispetto ai classici, seppur bellissimi, che hanno reso famosa la Sicilia.
Trazzera è il corrispettivo siciliano del termine tratturo, gli antichi sentieri della transumanza percorsi dalle mandrie durante i loro spostamenti stagionali.
La Cannavera, che in epoca medievale veniva chiamata via Panormi, oppure Regia Trazzera della Cannavera, attraversa le montagne dell’entroterra palermitano, parte dai monti Sicani e raggiunge la conca d’Oro nella valle dello Jato. In epoca medievale il sentiero era una vera e propria via di comunicazione, oggi è uno dei pochi sopravvissuti alla conversione moderna in strade di asfalto; tali sentieri cominciarono a scomparire tra il XIX e il XX secolo, in seguito alla frammentazione dei terreni in latifondi destinati alla proprietà contadina e allo sviluppo della cerealicoltura.
Un tempo nell’entroterra siciliano s’incrociavano in ogni direzione percorsi che collegavano villaggi, città, porti, pascoli e coste. L’isola veniva così ciclicamente attraversata dagli spostamenti delle mandrie: in inverno il percorso delle trazzere partiva dagli Iblei, dagli Erei e dall’Etna per dirigersi verso le zone più verdi quali la piana di Catania o verso la costa; il percorso estivo, invece, collegava le regioni alle terre delle Madonie, dei Nèbrodi, dei Peloritani.
Lungo la strada si incontrano i resti di un antico pagliaio e di un’aia, testimoni della passata vita contadina. Dalla cima di uno sperone, si affaccia la masseria Brivatura, ancora oggi utilizzata come ricovero di bestiame. È possibile raggiungere il rudere a piedi, e vedere l’antico abbeveratoio.
I percorsi delineati da muretti di pietra s’inerpicavano tra monti e valli, grotte e torrenti correndo in piano o arrampicandosi sulle alture. In genere i tratturi avevano una larghezza costante, talvolta raggiungevano addirittura i 36 metri, ma potevano trasformarsi in stretti passaggi. Le soste erano scandite dai ‘marcati’, luoghi dove gli uomini e i loro animali potevano fermarsi per riposare e pernottare.
Dopo la fattoria, e dopo aver incontrato e superato una sorgente, una deviazione conduce alla masseria Cannavera, oggi solo un isolato rudere. Le masserie erano il centro organizzativo della vita del latifondo, costruite come corti agricole fortificate dove viveva il signore e tutto il personale. Continuando verso sinistra si prosegue verso la gola, la parte più suggestiva del percorso: il cammino si trasforma in una gradonata ripida che sale con fatica.
Si scende poi nella gola percorrendo la scala della Curia, o della Corte scavata nella roccia, tra il Pizzo Mirabella e il monte Dammusi e si apre davanti agli occhi la vallata dello Jato; vediamo le rovine della masseria della Procura, una sorta di dogana dove venivano riscosse le decime e i dazi destinati all’arcivescovado di Monreale. Una parete dei ruderi conserva ancora oggi una bifora di fattura orientale, che fa pensare a un’edificazione dell’edificio in tempi antichi. Nel passato la zona era caratterizzata da campi coltivati grazie alla presenza di abbondante acqua; per un periodo un esperimento riuscito portò in Sicilia anche la coltivazione del riso.
Tra gli insediamenti della valle San Cipirello e San Giuseppe Jato, la meta che chiude il percorso.
Bibliografia: Gli incendi e le pirofite – 2005 Reg. Sic.na